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Morire da emigranti – La strage della Foresta Verde

Morire da emigranti – La strage della Foresta Verde

Boscaioli italiani in Corsica
Boscaioli italiani in Corsica (Foto dal web)

Andar via… luntàn…
di paes mai cgusù e mai vest…
diferenta la genta e e parlar…
oh l’è trest…
ma mè andar…

(“Andare via… lontano… / in paesi mai conosciuti e mai visti… / diversa la gente e il parlare… / è davvero triste… / eppure bisogna andare…” – dalla poesia “EMIGRAR” del Prof. Silvano Braglia, Palagano 1 marzo 1999)

 

EMIGRAZIONE: “Fenomeno sociale in base al quale singole persone o gruppi si spostano dal luogo d’origine verso un’altra destinazione, solitamente con la finalità di reperire nuove occasioni di lavoro” (da Enciclopedia Treccani).

A livello umano, questo termine assume significati molto più profondi di una semplice descrizione enciclopedica. Vuol dire allontanamento dai propri familiari, dalla propria casa. Vuol dire rinunciare ai propri affetti, all’abbraccio di un figlio, alle proprie abitudini. Vuol dire partire per raggiungere una città o una nazione sconosciuta per cercare una stabilità lavorativa tale da garantire un futuro alla propria famiglia. E molti pagarono con il sangue il sogno di una vita migliore.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento sette milioni e mezzo di nostri connazionali si imbarcarono su navi fatiscenti diretti in America. E’ ciò che fecero due dei miei bisnonni nei primi anni del novecento, che partirono con una nave dal porto di Napoli alla volta degli Stati Uniti.

Ed è anche ciò che fecero 19 boscaioli di Piandelagotti in provincia di Modena nel 1926, che salparono per la Corsica per un ingaggio stagionale sull’isola francese.

Questa è la loro storia.

 

LA PARTENZA

Boscaioli veneti
“Gloria a te o fiero lavoratore dei boschi.
Tu sei l’orgoglio, tu sei la forza della nazione, che della tua vita laboriosa, onorata, nell’ora dei grandi sacrifici sul tuo forte braccio può fare il più sicuro affidamento. Sorga intanto chi di te mosso a compassione ti riconosca il diritto a una vita meno misera e meno infelice”
(Cit . Mons. Adolfo Lunardi – Foto dal sito Dalvenetoalmondoblog)

 

Dal casolare di Pian degli Ontani a Piandelagotti in Val Dragone, partirono in 19 quell’11 dicembre del 1926, con i loro fagotti contenenti pochi panni e gli strumenti del mestiere, oltre al dispiacere del distacco dalla famiglia. Erano quasi tutti parenti. La neve era già caduta in abbondanza in appennino e le strade erano chiuse. Il valico montano non era agibile, ma dopo aver salutato i loro cari, si avviarono mesti lungo il sentiero che li avrebbe portati in Garfagnana fino alla stazione ferroviaria più vicina e da lì al porto di Livorno, dove un piroscafo li attendeva per trasportarli al porto di Bastia in Corsica.
Sotto la guida del caposquadra Francesco Lamberti, avrebbero dovuto raggiungere la Foresta Verde per il taglio di larici e pini marittimi alle dipendenze della ditta Tollinchi di Ajaccio.
Faggi, larici, abeti, adornavano per centinaia di chilometri questa vasta regione boscosa, che da circa 800 metri di altitudine si elevava sin quasi a 2000 metri e da diversi anni veniva sfruttata per il commercio del legname, come altre foreste dell’isola.
Attraverso strade e sentieri lunghi e tortuosi raggiunsero la loro meta, Col de Vert. Si trovavano a circa 1500 metri di altezza a 3,5 km dalla abitazione più vicina in località Lo Scrivano, e a 6 km dal paese più vicino, Palneca. La prima cosa da fare era costruire il rifugio, operazione che richiese circa 10 giorni di lavoro durante i quali ogni sera scendevano in paese a chiedere accoglienza per trascorrere la notte. Nel peggiore dei casi utilizzavano le cantoniere o le caverne dei dintorni per trovare riparo.
Nella baracca, al centro della quale era il focolare, le cuccette erano imbottite di erbe palustri secche. Un ben misero giaciglio per la dura vita dei boscaioli. I loro pasti frugali erano composti da polenta di frumentone o di castagne, e qualche pezzetto di formaggio.

 

 

FORSE UN PRESENTIMENTO?

Il caposquadra chiese il permesso alle guardie forestali di abbattere alcuni larici che erano nei pressi del rifugio e che potevano costituire un serio pericolo a causa del vento forte che soffiava in quella zona, ma esse, irremovibili, minacciarono di espellere tutti dal bosco se avessero tagliato quelle piante, in quanto per loro non erano pericolose.
L’inverno non fu clemente. Pioggia e neve erano scese copiose ma, nonostante ciò, il lavoro dei boscaioli era proseguito di buona lena ma non senza difficoltà. Tanto che a fine gennaio 1927 una buona parte del lavoro era stata svolta e i tronchi tagliati giacevano nella neve in attesa di essere trasportati.
Nel frattempo, uno degli operai tornò a casa a Piandelagotti a causa di una indisposizione e, principalmente, seccato dalle condizioni di lavoro proibitive per via del maltempo, che costrinse all’inoperatività i boscaioli rimasti. I quali, valutata l’inopportunità di rimanere nella baracca a 1500 metri, decisero di chiedere al padrone di essere trasferiti in una zona più bassa con minore quantità di neve che consentisse loro di lavorare.
La domenica 6 febbraio, quindi, il caposquadra Francesco Lamberti e l’operaio Zanni Rinaldo si recarono nel paese di Cozzano per telegrafare al padrone la loro richiesta, la cui risposta positiva non si fece attendere. Sollevati dalla buona notizia, mentre si incamminarono verso la baracca incontrarono un amico che li invitò a trascorrere la notte presso la sua abitazione per ripartire l’indomani.

 

LA TRAGEDIA

Ma l’indomani nevicava e sù, nella foresta, infuriava la bufera. Lamberti e Zanni non riuscirono a ripartire e i compagni rimasti prigionieri della neve si strinsero nel rifugio attorno al focolare per trovare calore. Era il 7 febbraio. Tutta la giornata trascorse così, con la speranza che il maltempo concedesse una tregua. Finalmente sul tardi i 16 uomini si disposero sulle brande, mentre la neve continuava a scendere fitta e il vento cominciava a soffiare sempre più impetuoso.
Verso le 3.30 di martedì 8 febbraio si scatenò il finimondo: un ciclone accompagnato da tuoni fragorosi e lampi paurosi si sviluppò nella foresta buia. All’improvviso, con un boato strepitoso, due enormi piante si spezzarono e si riversarono sulla misera baracca, schiacciandola insieme agli uomini che riposavano inermi.
Uno di loro, Giuseppe Stefani, fu sbalzato con la branda a 30 metri di distanza e atterrò miracolosamente incolume nella neve. Aiutato dal bagliore dei lampi riuscì a raggiungere il rifugio, intuendo la disgrazia che era capitata ai suoi compagni. Da sotto i resti della baracca giungevano le grida affannose dei feriti. Fattosi forza riuscì a raggiungere uno di loro, Domenico Vignaroli, incolume ma immobilizzato da un tronco che gli schiacciava una gamba. Dopo vari tentativi riuscì a liberarlo e a scavare fino a liberare altri due compagni, Giuseppe Fontana, ferito ad un braccio e ad una gamba, e Giuseppe Lamberti, con una ferita alla fronte e una clavicola rotta.
Poi il silenzio. Nessuna voce giungeva dalle macerie, nessun lamento. Chiamati nome per nome, nessuno degli altri uomini rispondeva. La morte li aveva sopraffatti nel sonno senza che potessero difendersi dalla furia della natura.

 

Corriere della Sera 12.02.1927
La notizia riportata dal Corriere della Sera il 12.02.1927. Solo poche righe per raccontare una tragedia.

 

I SOCCORSI

Affranti dall’accaduto, i tre decisero di spostarsi per chiedere aiuto. Rimanere lì avrebbe significato morte sicura per assideramento con la tempesta che imperversava. Così si avviarono carponi nella neve, con gli abiti leggeri che avevano addosso, a quattro zampe come i gatti, con delle tavolette di legno alle mani che li avrebbero sostenuti meglio nel cammino. Fu una marcia lunga e faticosa, la sofferenza dei feriti era indicibile, ma dopo ben otto ore giunsero a Scrivano e furono curati dalla famiglia che li accolse e che già li conosceva, e che si prodigò per divulgare la notizia della tragedia ai paesi vicini che organizzarono immediatamente squadre di soccorso.
Purtroppo però non fu possibile salire subito nella foresta per cercare altri superstiti, a causa della neve che aveva raggiunto un’altezza di 5 metri. Solo il giovedì mattina verso mezzogiorno si riuscì a raggiungere il luogo del disastro. Uno squadrone composto da oltre 300 uomini fra operai italiani e abitanti del luogo si trovò davanti uno scenario apocalittico: migliaia di alberi divelti dal ciclone e l’enorme massa di neve che ricopriva tutto, ma non vi era traccia della capanna che fu ritrovata solo dopo lunghe ore di arduo lavoro il venerdì mattina.

 

UN PICCOLO MIRACOLO

Il sabato mattina 12 corpi senza vita e quasi irriconoscibili erano stati dissepolti alla presenza delle autorità francesi con a capo il Prefetto di Ajaccio. Ma in quella immane tragedia avvenne un miracolo: dopo ben 56 ore, fu ritrovato vivo il giovane Rocco Trogi di 22 anni, con le mani e i piedi congelati, il quale raccontò che nei terribili momenti in cui pensava di essere stato abbandonato dai compagni aveva deciso di farla finita tagliandosi la gola con il coltello che gli era servito per liberare la branda schiacciata dal peso che la sovrastava. Fortunatamente per lui, non riuscì a ritrovare il coltello e nel momento in cui le forze gli venivano meno giunsero i suoi salvatori.

 

LE VITTIME

  • Lamberti Alberto, anni 19;
  • Fontana Gaspero, anni 65, padre di Fontana Antonio, anni 20;
  • Lamberti Ernesto, anni 27, cognato di Fontana Pasquale, anni 27;
  • Lamberti Angelo, anni 23;
  • Lamberti Pietro, anni 17, fratello di Lamberti Leopoldo, anni 16;
  • Zanni Pietro, anni 22;
  • Lamberti Amedeo, anni 24;
  • Lamberti Paolo, anni 48, cognato di Vignaroli Pietro, anni 36;

 

Le 12 vittime della tragedia.
Le 12 vittime della tragedia (Foto dal web)

 

12 nomi scolpiti su una lapide nel piccolo cimitero di Cozzano in Corsica, uomini e ragazzi che erano partiti per lavorare, inconsapevoli del destino che li attendeva.
Una grande folla accorse ai funerali dai paesi limitrofi. Il parroco e il Prefetto di Ajaccio pronunziarono discorsi commoventi.
In Italia intanto, i familiari erano ignari dell’accaduto.
Le prime notizie vaghe si ebbero sabato 12 febbraio tramite i giornali, che accennavano a tempeste di neve abbattutesi sulle montagne della Corsica. Solo il Corriere della Sera specificava che nella Foresta Verde 13 operai italiani erano deceduti nel crollo della baracca dove alloggiavano. A parte questa, nessun’altra notizia era trapelata, come se questa tragedia non fosse mai accaduta. Tutto il paese di Piandelagotti rimase in ansia fino al martedì sera, quando finalmente giunse il telegramma da parte del padrone Tollinchi che annunciava la disgrazia.

 

La tomba nel cimitero di Cozzano in Corsica
La tomba nel cimitero di Cozzano in Corsica (Foto dal sito ModenaToday)

 

I 7 SUPERSTITI

Stefani Giuseppe, il salvatore; Lamberti Francesco, caposquadra, che nel disastro perse due figli; Fontana Giuseppe; Lamberti Giuseppe, che perse un fratello e un cognato; Vignaroli Domenico, che perse un fratello; Zanni Rinaldo, che perse un fratello; Trogi Rocco, anni 22, sopravvissuto per 56 ore sotto la neve.

 

I 7 superstiti
I 7 superstiti (Foto dal web)

 

IL RIENTRO DELLE SALME IN ITALIA

Negli anni settanta sorse il comitato “Vittime della Corsica di Piandelagotti”, che lavorò ininterrottamente per riportare in patria le salme dei 12 boscaioli periti nella tragedia.
Finalmente nel 2017, dopo 90 anni fecero ritorno a Piandelagotti grazie all’aiuto di tutti, dal senatore Carlo Giovanardi, al senatore Stefano Vaccari, al consigliere regionale Luciana Serri, al consigliere comunale Walter Telleri. Al viaggio di ritorno contribuì tutto il paese: i privati, la Società Sportiva di Piandelagotti, il Comune di Frassinoro guidato dal sindaco Elio Pierazzi.
Dopo una prima sistemazione provvisoria in un sarcofago predisposto nella parrocchia della Natività di Maria Vergine di Piandelagotti, nel 2018 le 12 cassette con i resti delle vittime furono tumulate nella tomba monumentale realizzata nel cimitero di Piandelagotti dall’artista Dario Tazzioli.

 

Le 12 salme tornano finalmente a casa
Le 12 salme tornano finalmente a casa (Foto Gazzetta di Modena)
La cerimonia nel cimitero di Piandelagotti
La cerimonia nel cimitero di Piandelagotti (Foto Gazzetta di Modena)
La tomba monumentale realizzata dallo scultore Dario Tazzioli
La tomba monumentale realizzata dallo scultore Dario Tazzioli (Foto dal sito ModenaToday)

 

 

LE GRANDI TRAGEDIE DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA

La tragedia della Foresta Verde purtroppo è solo una delle tante che hanno caratterizzato il fenomeno dell’emigrazione. Qui di seguito trovate l’elenco degli eventi più gravi in cui persero la vita molti nostri connazionali, partiti per assicurarsi un sostegno economico.

MONONGAH, West Virginia, USA, 6 dicembre 1907: Nelle miniere n°6 e n°8, gestite dalla Fairmount Coal Company, una serie di esplosioni causarono una ecatombe di vite umane; le vittime rimarranno sempre dal numero imprecisato perché neanche un terzo dei minatori era registrato. Il numero di vittime italiane accertate è di 168.

CHERRY, Illinois, USA, 13 novembre 1909: Nella miniera di carbone di Cherry di proprietà della St. Paul Coal Company si sviluppò un incendio che causò la morte di 259 uomini e ragazzi, per la maggior parte immigrati, fra cui 63 italiani.

DAWSON, New Mexico, USA, 22 ottobre 1913: Nella miniera di carbone di Dawson si verificò un’esplosione che fece oltre 250 morti, di cui 146 immigrati italiani. Una seconda esplosione si verificò nel 1923, e i morti italiani furono una ventina. Questa tragedia è poco conosciuta negli Stati Uniti, e praticamente sconosciuta in Italia.

MARCINELLE, Le Bois du Cazier, Belgio, 8 agosto 1956: A causa di un errore umano, un incendio scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità, soprattutto italiane, 136 vittime, poi belghe, 95; fu una tragedia agghiacciante, i minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas.

MATTMARK, Svizzera, 30 agosto 1965: Nel Canton Vallese, dove si stava edificando la diga in terra più grande d’Europa, una valanga di oltre due milioni di metri cubi di ghiaccio staccatasi dal ghiacciaio di Allalin travolse e seppellì i cantieri, le baracche, la mensa e le officine sottostanti. Morirono 88 lavoratori, e di questi 56 erano italiani. Trascorsero più di 6 mesi per recuperare l’ultima salma.

AIGUES MORTES, Francia, 19 agosto 1893: Soprattutto all’inizio del grande esodo gli Italiani furono oggetto, oltre che di sfruttamento, di numerosi episodi di xenofobia. I braccianti Italiani accettavano paghe più basse dei braccianti locali e venivano considerati “la parte più lurida di esseri umani mai sbarcati” (da un articolo del New York Times) e subivano continue umiliazioni e insulti. Ad Aigues Mortes, in Francia, circa 400 operai italiani che lavoravano là vennero scaraventati nel Rodano dalla folla inferocita e accecata da un selvaggio attacco di xenofobia, nove invece furono assassinati con un banale pretesto. Stessa sorte toccò ad undici siciliani a New Orleans nel 1901, accusati di appartenere alla Mafia.

 

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