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Val d'Asta - Appennino Reggiano

La frana e il lago di Cerredolo

La frana e il lago di Cerredolo

Il lago di Cerredolo
Il lago di Cerredolo (ritaglio da cartolina Ediz. Priv. Tincani Adelmo, 1960 – Collezione Rosa Palumbo)

Durante le festività pasquali del 17-18 aprile del 1960 una forte ondata di maltempo investì la provincia reggiana, in particolare la zona appenninica, che si trovò ad affrontare diverse situazioni di calamità naturali.
Il perdurare delle piogge e delle nevicate fece sì che tutto il territorio montano fosse interessato da movimenti franosi di un certo rilievo che provocarono interruzioni stradali e danni alle abitazioni. Il comune di Villa Minozzo rimase isolato dai paesi limitrofi, ma il comune più colpito fu Toano dove le frane seppellirono alcuni borghi.

Il lago di Cerredolo
Il lago di Cerredolo (Ritaglio da cartolina Ediz. Priv. Adelmo Tincani, 1960 – Collezione Rosa Palumbo)

La diga naturale

Dopo due giorni di tregua in cui sembrava che il tempo migliorasse, nella mattina del 21 aprile nei borghi di Morra e Cavanegria a tre chilometri da Toano si iniziò lo sgombero delle case minacciate da una frana che iniziava a scendere dal Monte Castello verso valle e che aveva già danneggiato alcune abitazioni. Dal caseificio furono messe in salvo 400 forme di parmigiano.

Il paese era già pressoché isolato. La provinciale Cerredolo-Toano era percorribile solo fino alla Svolta, e l’unica via possibile per raggiungere Toano era da Manno. Ma all’alba del 22 aprile, dal crinale di Massa si staccò un’enorme frana con un fronte dell’ampiezza di circa tre chilometri e di profondità di circa cinquecento metri. Centinaia di metri di strada scomparvero inghiottiti dai detriti, isolando completamente Toano, mentre in località Pala e Monchi la strada risultò interrotta in due punti. La Svolta quindi era l’ultima località raggiungibile con gli automezzi.
I generi alimentari, i medicinali e i carburanti cominciarono a scarseggiare, il servizio telefonico funzionava in modo saltuario e approssimativo, decine di abitazioni rese inabitabili dalle frane. Si attendeva l’arrivo di un nucleo di Carabinieri che con due mezzi cingolati messi a disposizione dal VI Lancieri Aosta dell’Esercito avrebbero raggiunto il paese con i beni di prima necessità (pasta, riso, olio, zucchero, fusti di benzina).

I Monchi
Uno scorcio della nicchia di distacco. Sull’orlo dello sfaldamento i resti del casale dei Monchi (Foto Prof. Benito Spano)

Intanto aveva ricominciato a piovere. La frana di Pala e Monchi giunse in fondovalle fino ad ostruire in più punti il corso del fiume Secchia, creando allagamenti e mettendo in pericolo le località Campagnola, Molino di Corneto e Case Scapini, mentre un’altra frana minacciava Cerredolo, dove alcune case erano già state sgombrate e la strada travolta. I segni premonitori si ebbero alle prime luci dell’alba, ed impiegò circa 33 ore per rovinare a valle, coprendo una distanza di circa 1,5 km alla velocità media di 45 metri l’ora.
La frana arrivò puntuale nel primo pomeriggio del 23 aprile del 1960, quando una ingente massa rocciosa di 13 milioni di metri cubi si staccò dalla cima del Poggio Corbello (716 m.) nel versante settentrionale del Monte Lama ed investì il letto del fiume Secchia alla stretta del Busone, poco a monte della confluenza col torrente Dolo, bloccando il deflusso delle acque: si formò una diga naturale. Lo sbarramento di detriti alto 25 metri e lungo 200 metri formò un enorme lago che conteneva 20 milioni di metri cubi d’acqua che rischiavano di tracimare inondando le borgate che avrebbe incontrato sul suo percorso. Le località Molino di Corneto e Campagnola erano completamente sommerse, una decina di case in tutto erano scomparse nel lago. Il lago era lungo 2,5 km ed arrivava quasi fino alla località di Colombaia, che fortunatamente era situata più in alto rispetto all’allagamento che aveva ricoperto 30 ettari di terreno. Qua e là, dalle acque rese verdi e azzurre dal riflesso dei boschi e del cielo, in quel paesaggio diventato improvvisamente surreale affioravano i tetti delle case e le cime dei pagliai. Tutta la zona era presidiata da Carabinieri ed Esercito, i mezzi cingolati percorrevano sentieri impervi per portare i soccorsi nelle zone più colpite. Si contavano 219 sfollati.

Veduta panoramica della frana
Veduta panoramica della frana originante il lago (Foto Vaiani – Reggio Emilia)

Il livello del fiume sempre più sù

Si sperava nella tregua delle piogge, invece il livello del lago aumentava sempre più (4 metri in 24 ore) e si iniziò la costruzione di un canale derivatore per aiutare le acque a defluire lentamente senza provocare ulteriori danni. I lavori iniziarono con difficoltà, tutto veniva reso vano dalla pioggia e dalla frana ancora in lento movimento. Furono impiegate 11 ruspe e diversi gruppi elettrogeni per consentire agli operai e ai tecnici del Genio Civile di lavorare ininterrottamente giorno e notte per far entrare in funzione al più presto il canale derivatore che avrebbe dovuto captare l’acqua ad una altezza di 25 metri, cioè alla superficie del lago. Il timore era che una piena improvvisa potesse spazzare via la diga e riversare sui paesi rivieraschi tutta la sua potenza distruttrice. L’imperversare del maltempo, improvvisi scrosci d’acqua alternati a nevischio, intralciarono i lavori degli operai. A Toano erano caduti 12-14 cm. di neve, imbiancando anche i terreni interessati dalle frane.

Ruspa al lavoro
Una ruspa al lavoro per la costruzione del canale derivatore (Foto Gazzetta di Reggio)

Il canale derivatore entrò in funzione per poche ore nella notte del 30 aprile, ma la frana riprese a muoversi e cancellò tutto il lavoro realizzato in quei giorni frenetici. Gli operai si rimisero subito al lavoro per rinforzare la base della diga dove sarebbe caduta la cascata d’acqua proveniente dal lago. Gli ingegneri erano costantemente al lavoro per studiare e prevenire ogni possibile situazione di pericolo per la popolazione. In via precauzionale, alcune borgate a valle della diga furono sfollate.
Anche la frana di Morra aveva ripreso il suo movimento giungendo a ostruire il Fosso delle Chiastre sopra l’abitato di Cavola, ma in quel momento non costituiva un pericolo per il paese.

Fotoplanimetria aerea
Fotoplanimetria aerea del lago e della frana sbarrante (Ril. L. Carra – Parma)

Nel frattempo il canale derivatore, ulteriormente allargato, era entrato nuovamente in funzione e grazie alla cessazione delle piogge si raggiunse una situazione di equilibrio fra le acque che defluivano con una portata di 6 metri cubi al secondo e fra le acque che invece confluivano nel Secchia a monte della diga. Tutto lasciava supporre che presto si sarebbe giunti ad una situazione di stabilità, ma con le piogge il lago si era esteso ulteriormente fino quasi a raggiungere le prime case di Colombaia a 3,5 km dalla diga, che per cautela furono sgombrate. La Croce Rossa aveva distribuito 44 pacchi viveri ad altrettante famiglie di Toano e nel frattempo erano iniziati i lavori di costruzione di un secondo canale derivatore che avrebbe dovuto raddoppiare la portata delle acque che dovevano defluire verso valle.

Ponte di Cerredolo
Pattuglie dei Carabinieri presidiano il ponte di Cerredolo chiuso al traffico (Foto Gazzetta di Reggio)

La diga cede

L’entrata in funzione di questo secondo canale era prevista per il 4 maggio. Quel giorno il lago raggiunse le dimensioni massime di circa 15 km di perimetro, 191 ettari di superficie, 33 mt. di profondità massima nelle adiacenze della diga e 26 milioni di metri cubi d’acqua, più di 1 km di larghezza massima e oltre 5 km di sviluppo assiale. Ma alle ore 12 dello stesso giorno con un boato la diga cedette. Una grande breccia si aprì proprio al centro della diga formando un isolotto lungo un centinaio di metri fra la falla e il canale derivatore. Le case tremarono come se una violenta scossa si fosse prodotta nel sottosuolo. Dopo pochi minuti l’immane ondata si abbatté sul ponte di Cerredolo, distante 2 km dalla diga, riversando a valle una enorme massa d’acqua, oltre 21 milioni di metri cubi in 24 ore, sconvolgendo il corso del fiume. Con una portata di 243 metri cubi al secondo con punte massime di 800 mc., alle ore 16 l’ondata di piena raggiunse Rubiera, quasi sommergendo il ponte provvisorio e il ponte ferroviario.

La breccia nella diga
La breccia nella diga (Foto Gazzetta di Reggio)

La gente assistette stupefatta ed angosciata dall’uscio di casa alla più grande ondata di piena che si ricordasse fino a quel momento. Lungo il percorso si incontravano uomini e donne con i loro fagotti di oggetti personali da mettere in salvo. Nelle zone dove il fiume era straripato gli abitanti si ritirarono a monte assiepandosi sulle zone più alte osservando inermi il desolante spettacolo dell’azione devastante dell’acqua. Tutti i ponti resistettero. In serata la situazione poteva considerarsi più tranquilla e si gridò allo scampato pericolo. In quei momenti ci si chiedeva se il bacino di Cerredolo si sarebbe svuotato completamente o se sarebbe rimasto. Ci pensò la montagna a dare la risposta: la frana tornò in movimento e richiuse completamente la diga, innalzando la barriera di altri 3 mt. e formando nuovamente il lago. Il livello dell’acqua era sceso di circa 15 metri, ma il maltempo riprese e il lago ricominciò a riempirsi. La borgata di Campagnola fu nuovamente sommersa dalle acque, che in quel punto raggiungevano una profondità di circa 30 mt. In due-tre giorni il lago avrebbe raggiunto le proporzioni che lo caratterizzavano prima della rottura della diga. Si lavorava quindi al rafforzamento dei ponti sul Secchia, ma finché la frana non si fosse fermata non si potevano cominciare i lavori di altri canali derivatori e consolidamento della diga di detriti.

Il ponte di Cerredolo
Accumuli detritici al ponte rotabile di Cerredolo, estate 1960 (Foto Prof. Benito Spano)

La frana di Morra

Anche la frana di Morra si era ulteriormente estesa, arrivando a minacciare seriamente gli abitati di Mulinetto del Pozzo e di Montale, agglomerati di case con un centinaio di abitanti. Lento ma inesorabile, lo smottamento continuava a scendere e per un effetto di erosione del terreno dovuto alle acque sotterranee il borgo di Montale fu schivato; il movimento franoso giunse poi fino alla chiesa di Cavola spazzando via un fienile e deviò miracolosamente il suo percorso verso destra finendo nel Rio di Pietra Grossa risparmiando il paese, mentre la situazione a Cerredolo sembrava migliorare poiché l’acqua iniziava a defluire lentamente in modo regolare e non sembrava ci fosse pericolo di nuovi cedimenti della diga. L’apertura di un nuovo canale sul lato destro dello sbarramento consentiva di far defluire l’acqua al ritmo di 25-30 mc. al secondo. Sondaggi dei Vigili del Fuoco rilevarono in quel momento una profondità del lago di 22-23 mt. al centro e di 17-18 mt. in prossimità delle sponde destra e sinistra.
La ripresa del bel tempo consentì lo stabilizzarsi della situazione del bacino.

Rilievo aerofotogrammetrico
Rilievo aerofotogrammetrico eseguito nel maggio 1960 (Archivio Rosa Palumbo)

 

Profilo longitudinale
Planimetria e profilo longitudinale del lago di frana (Archivio Rosa Palumbo)

Il lago, una attrazione turistica?

Nel corso dell’estate furono eseguiti importanti lavori di sistemazione e inalveamento fra la frana e il ponte della strada provinciale “delle Radici” con opere in gabbioni di filo di ferro zincato riempiti di pietrame assestato a mano. Fu ultimata altresì la costruzione di una traversa di calcestruzzo di cemento armato a valle della confluenza Dolo-Secchia, che rappresentava il punto di partenza di una serie di opere trasversali di ritenuta che risalendo alla frana ne avrebbero determinato il consolidamento alle quote di quel momento.

Il lago di Cerredolo (Cartolina del 1960, Collezione Marcello Sassi)

Nella giornata del 3 settembre, i rappresentanti dell’Amministrazione Provinciale e dei comuni di Baiso, Carpineti, Toano, Castellarano e Reggio Emilia, si riunirono a Cerredolo per esaminare i problemi inerenti alla sistemazione del fiume Secchia e alla eventuale conservazione del lago, soluzione che avrebbe consentito la realizzazione di opere di difesa del bacino, le cui acque si sarebbero potute sfruttare per l’irrigazione dei terreni precollinari posti a monte della S.S. 9 Via Emilia che già utilizzavano in misura inadeguata le acque del Secchia per l’irrigazione. Inoltre il lago formatosi con la frana esercitava già una notevole attrattiva, e la sua conservazione avrebbe rappresentato una importante valorizzazione turistica della zona, con possibilità di sviluppo di attrezzature alberghiere. Fu inviato quindi un O.d.G. al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che in una futura riunione avrebbe esaminato le proposte presentate dal locale Genio Civile. Ma durante le piene del periodo 9-15 ottobre 1960 e del gennaio 1961, il lago tornò a riempirsi e si ebbero due nuove erosioni all’imbocco dell’emissario, che sgretolarono definitivamente la diga il 24 gennaio 1961.

 

Nei 9 mesi dell’esistenza del lago, nel pomeriggio del 29 agosto 1960 si verificò purtroppo un incidente mortale in cui perse la vita il diciottenne di Montefiorino Giovanni Paladini, sopraffatto da un malore durante un bagno nel lago nei pressi dello sbocco verso valle, forse dovuto alla fredda corrente che in quel punto attraversava il lago. A nulla valse l’intervento di un altro bagnante, il dottor Veratti di Cerredolo, che riuscì ad afferrarlo prima di essere colto a sua volta da un malore e cominciò ad annaspare. Il dottor Veratti fu soccorso da un barcaiolo che dalla riva aveva assistito al tentato salvataggio del ragazzo, il cui corpo ormai senza vita fu trascinato via dalla corrente e scomparve sott’acqua. Fu ritrovato dopo due giorni a 12 metri di profondità incastrato nella melma nei pressi del canale derivatore, grazie all’intervento di tre componenti del Nucleo Carabinieri Sommozzatori di Genova specializzati in questo tipo di operazioni, coadiuvati dai Vigili del Fuoco di Reggio Emilia e Modena.

La frana, comunemente conosciuta come “Frana di Lupazzo“, si è stabilizzata dalla fine del mese di maggio 1960. Se dovesse riprendere il movimento, potrebbe costituire un’ulteriore situazione di pericolo sia per l’alveo del fiume Secchia (già innalzatosi di 15 metri nel 1960) che per l’abitato di Cerredolo, che era già stato parzialmente distrutto nel 1939 da un esteso movimento franoso.

Il lago di Cerredolo
Il lago di Cerredolo (Cartolina del 1960, Collezione Marcello Sassi)

 

 

BIBLIOGRAFIA

  • Gazzetta di Reggio (1960)
  • La frana e il lago di Cerredolo (Prof. Benito Spano, “Atti del XVIII Congresso Geografico Italiano”, 1961)
  • Appennino Reggiano, La frana e il lago di Cerredolo (Prof. Benito Spano, in rivista “L’Universo”, 1962)
  • Una frana di scivolamento con formazione di un lago di sbarramento: il caso di Cerredolo (Colombetti A., Moratti L., Tosatti G., in rivista “Le strade”, 1989)
  • Piano Comunale di Protezione Civile del Comune di Toano (2013, attualmente in aggiornamento)
  • Opuscolo “Paesi in Festa – Toano 2019” (Comune di Toano, 2019)
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